Stepping into the Light

Aula di Musica || Josie x Fabrizio

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    Mancavano soltanto poche settimane alla gara canora che - a discapito di suo padre -, la Salvatore Boarding School avrebbe ben presto ospitato.
    L'umore di Josie non era mai stato così frammentato e semi-contraddittorio: se da una parte la ragazza non vedeva l'ora di assistere e partecipare a quello che era sempre stato il suo spettacolo preferito, dall'altra non aveva nessuna voglia di ripetere la stessa canzone accompagnata dalla solita coreografia che avrebbe messo - ancora un'altra volta - Lizzie sotto ai riflettori.
    No, non stava affatto peccando d'egoismo: Josie aveva sempre fatto di tutto per assecondare i capricci della gemella, spesso anche con piacere (dopotutto amava - ed ama ancora - vederla felice), ma Elizabeth aveva l'abitudine di chiedere sempre di più, talvolta senza anche farlo apertamente: prendeva e basta, come se tutto le fosse permesso.
    Per i primi anni Josie aveva fatto finta di nulla, lamentandosi soltanto quando da piccola possedeva ancora l'innocente arroganza tipica dei bambini, ma man mano che la vita andava avanti e che le due crescevano, diventava tremendamente difficile metter da parte la voglia di cedere al desiderio d'esser - per la prima volta - lei stessa protagonista.
    Aveva bisogno di vivere la sua vita e non di guardarla da lontano... aveva bisogno di sentirsi acclamata e se questo significava esser egoista... beh allora sì: in quel momento voleva diventarlo.
    Per una volta avrebbe creato una nuova luce, capace di circondarla ed illuminarla così come aveva sempre sognato.

    Ed in quel momento, nell'aula vuota che ospitava le rumorose ore di musica, Josie stava appena dandole vita.
    Aveva bisogno di raccontare la sua storia, la sua verità... metter sé stessa davanti agli altri, così da far capir loro chi fosse, perché in quel momento - in quel preciso momento - da quando aveva messo piede lì dentro, Josie era sempre stata invisibile.

    Stending in the shadows,
    I thought that I earned it,
    Feeling invisible
    beliving I deserved it

    J! Cosa fai qui? Scrivi il brano che canterai allo show? la giovane alzò il capo ed osservò la figura di Penelope avvicinarsi al proprio banco. Oh no, che stupida. Sarà Lizzie ad esibirsi, vero? Tu potrai soltanto sentirti onorata nell'occupare il posto sullo sfondo. continuò, una punta d'acidità che la mora riuscì a scorgere senza neanche impegnarsi poi così tanto.
    - Cosa vuoi, Penelope? rispose semplicemente la Saltzman, stringendo i denti ed appoggiando svogliatamente la penna che stava utilizzando, sul quaderno ancora aperto sopra il banco che aveva occupato da circa qualche oretta. Ma poi sarà sempre la solita, giusto? Ah... Lizzie è così antica! commentò borbottando, ignorando volontariamente le parole dell'ex che in quel momento s'alzò... le mani che s'appoggiarono sul bordo del banco davanti a sé.
    - Te lo ripeto un'altra volta: cosa vuoi, Penelope? domandò, per poi inarcare un sopracciglio quando la propria interlocutrice alzò le mani in alto ridendo e scuotendo il capo subito dopo. Nulla, nulla. Vado! continuò a ridere raggiungendo la porta, bloccandosi improvvisamente Semplicemente mi mancava la tua voce, e mi sarebbe piaciuto ascoltarla e vederla vincere allo show... visto che te lo meriti e che io, ormai, ho perso l'opportunità di sentirla quotidianamente. rivelò prima di sparire dalla sua vista, incasinandole tutti i pensieri.
    Come sempre, d'altronde. Come se ormai non riuscisse a fare nient'altro!

    Era da quando l'aveva conosciuta che la Park continuava a denigrare sua sorella, sembrava non la sopportasse ed il sentimento era assai ricambiato: avrebbero rischiato di far cadere in disperazione tutti i presenti se si sarebbero trovate rinchiuse nella stessa stanza.
    Forse era anche per quello che tra loro non era finita bene: nonostante sapesse che sua sorella non era affatto una santa, Josie non poteva permettere a Penelope d'offenderla... non la conosceva, non sapeva la sua storia, né tanto meno ciò che pensava.
    Tuttavia nulla sembrava esser cambiato: Penelope continuava a parlarle male di lei mettendole sempre a paragone, chiunque avrebbe potuto sostenere che l'ex stesse mettendo sù un piano per farle litigare e - magari - dividerle... e mentirei se dicessi che - diversamente dagli altri - Josie esentava dall'avere pensieri del genere... ma non poteva crederci: in cuor suo sperava soltanto che - con quei commenti - Penelope la stesse soltanto spingendo a riprendersi la sua vita... la sua luce.

    I can't remember what I was waiting for
    So no more.

    "Riprendersi la sua vita... la sua luce..." l'aveva desiderato così tante volte, che adesso sembrava essersene ormai dimenticata, eppure... eppure soltanto una era la domanda che sembrava attanagliarla adesso: ci sarebbe riuscita? Sarebbe riuscita a ritagliarsi un angolino anche per sé stessa? E magari... sarebbe riuscita ad imporsi - per una buona volta - al carattere della sorella?
    Farlo nel giorno dello show poteva esser una buona prova!
    "Un cambio di brano? Assolutamente no! Non abbiamo mai cambiato il nostro cavallo di battaglia... e tu sai perché, Josie: vinciamo ogni dannatissima volta!" Già riusciva ad immaginare le parole della gemella seguite da un sorrisetto che non avrebbe fatto altro che farla sentire inferiore.

    Sbuffò e successivamente tornò a sedersi, le braccia che s'adagiarono sul banco e la testa che le raggiungeva.
    E pensò... pensò fino ad addormentarsi.

    I'm climbing over walls that I made
    I'm finding my place on the stage
    I'm going to be leaving all those doubts behind
    I'm step, I'm stepping into the light.


    josette "josie" saltzman [ sheet ]
    eretica - membro del consiglio d'onore - 15/03/2014 - 16 annni
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    La song che sta scrivendo è quella dell'ep 11 <3 La role è ambientata nell'aula di musica... e sì: Fabrizio la trova seduta sulla sedia ed il capo chino sulle braccia conserte sopra il banco... addormentata AHAHAHAH <3
     
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    Quella mattina ero di buon umore. Amavo quel luogo. La Salvatore school era davvero un buon posto in cui lavorare e vivere. Alaric era stato così gentile da offrirmi una stanza a tempo indeterminato, fintanto che mi fossi ambientato per bene e avessi iniziato a cercare un posto tutto mio.
    Non c'è fretta, Fabrizio. aveva detto, con quel suo tono gentile e pacato Rimani quanto vuoi. Saremo ben felici di ospitarti per tutto il tempo che ne avrai bisogno.
    Il lavoro, poi, era decisamente ben retribuito, e venir pagati per fare ciò che più si ama al mondo, era assolutamente impagabile.
    Mi concessi una lunga doccia, per svegliarmi come di deve, e poi mi vestii velocemente. Per quel giorno avevo optato per un total black. Pantaloni stretti e aderenti come una seconda pelle, strappati sulle ginocchia, una t-shirt e una giacchetta sopra, leggermente elegante. Mi sistemai i capelli con le mani e mi spruzzai una generosa dose d'acqua di colonia, poi uscii dalla mia camera e mi diressi alla mensa, prendendo un caffè. Mi recai quindi in giardino, per godermi una sigaretta e qualche minuto di tranquillità, prima di iniziare a mettermi al lavoro a tutti gli effetti.
    Stavamo per entrare, infatti, nella fase "calda" dell'anno, che poi era assolutamente quella che preferivo. In assoluto. Era arrivato infatti il momento di preparare gli studenti della Salvatore school per lo show annuale. Divisi in gruppi, generalmente in base alla razza d'appartenenza, gli studenti preparavano un numero di canto o ballo - o entrambi - e si esibivano, sperando di vincere.
    Mi era stato detto, che le streghe erano imbattute da anni, quindi non avrei dovuto cercare di cambiare troppo le cose, giusto? E invece no. Sbagliato. Completamente, assolutamente, fottutamente sbagliato.
    Non mi andava proprio giù che l'unico vero talento di quella scuola, la piccola, deliziosa, fantastica, incredibilmente dotata Josette Saltzman, dovesse starsene in ombra, nell'ultima fila, a fare i cori, mentre la sua gemella bionda, viziata e primadonna da far paura, faceva la solista e si godeva le attenzioni di tutti, coi riflettori puntati addosso.
    Prima di tutto, Elizabeth non aveva nemmeno una briciola del talento di Josie, secondo era montata da morire e aveva un ego così gigantesco da poter contenere l'intera scuola.
    Oh, no, le cose dovevano assolutamente cambiare. Avrei modificato tutto, ogni minimo dettaglio. Avrei spedito la principessina di papà negli ultimi posti e preso Josie sotto alla mia ala protettiva - come, d'altronde, avevo già fatto in altre occasioni - portandola dove si meritava di stare: al centro della scena, sotto alle luci della ribalta.
    Raggiunsi l'aula di musica fischiettando, deciso a provare qualche pezzo, magari anche qualcosa di italiano, da proporre alla piccola streghetta. L'immagine che mi si parò davanti non appena entrai, mi strappò un sorriso intenerito. Josie dormiva sul banco, la testa poggiata sulle braccia conserte, le labbra leggermente schiuse e un lieve sorriso che aleggiava su esse. Buona parte del suo viso, era coperto da una cascata di riccioli scuri.
    Mi avvicinai lentamente a lei, con cautela, per non spaventarla, e le feci una carezza leggera sul capo, scuotendola appena.
    JoJo? la chiamai in tono affettuoso, usando quel tenero nomignolo Piccolé, ehi... svegliati, piccola... mormorai a bassa voce, cercando di svegliarla.
    A volte mi capitava di intercalare qualche parola in italiano - e persino in romano - quando parlavo, e d'altronde lei conosceva bene il significato di quel dolce soprannome. Quando mi aveva chiesto cosa significasse, ridacchiando, la prima volta che l'avevo chiamata così, poco tempo prima, le avevo sorriso, dandole un buffetto affettuoso sulla guancia.
    Baby. Sì... potremmo tranquillamente tradurlo così, JoJo. le avevo spiegato calmo.
    Lei aveva questo potere su di me. Mi faceva sentire tranquillo, in pace con me stesso e col mondo, sempre. Quando stavo insieme a lei, tutti i miei demoni sembravano quasi scomparire, al suono delicato della sua voce, alla vista del suo dolce sorriso.
    Volevo bene, a Josette Saltzman. Moltissimo. Forse anche più di quanto avrei voluto, o sarei stato disposto ad ammettere.
    La guardai, non aveva mosso un muscolo. La scossi un poco più forte, cercando nuovamente di svegliarla.
    Piccolé... svegliati... così ci mettiamo al lavoro... daje... intercalai, ancora una volta, in romano.
    Ho Fede in te e ho Fede nel dolore. Nelle tue risposte acerbe che trasmettono stupore
    Fabrizio Raffaele Ettore Moro [ sheet ]
    human - teacher - 9 aprile 1975 - 44 yrs - clothes
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    Edited by ´pïllöwtälk. - 7/5/2019, 00:56
     
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    S'accorse di trovarsi all'interno di un sogno quando, dietro le quinte, Jo riuscì a sentire i suoi compagni chiamarla con forte esaltazione. Continuavano a ripetere il suo nome con un'invitante luce nel tono della loro voce, felici ed impazienti di vederla calcare il palcoscenico.
    Non sapeva cos'avrebbe cantato ma non sembrava fosse un problema, anzi... i problemi sembravano esser andati via, così come la preoccupazione di poter deludere o far male a qualcuno.
    Josie attese ancora qualche secondo e poi camminò verso il centro del palco, il dolce sorriso che s'apriva sempre di più nell'ascoltare il tifo quasi isterico che aveva innalzato senza neppure averlo voluto per davvero.
    Incrociò lo sguardo del professore ed annuì a quest'ultimo, accennando un sorriso smagliante, che dopo aver ricambiato, convinse l'uomo a premer play e a far partire la base della sua canzone.
    Jojo cantò e lo fece con tutto il cuore, si soffermò sull'espressione dei suoi compagni e quasi non pianse di gioia non appena constatò quanto, la sua voce, stesse piacendo loro. Alzò il capo e guardò l'ultima fila con una strana agitazione nel petto, certa che qualcuno di importante fosse lì, ad occupare quei posti sull'asfalto. Uno per uno riuscì infatti a scorgere le persone più importanti della sua vita: Fabrizio, che dall'inizio della sua performance aveva preso posto e la guardava con un sorriso soddisfatto in volto, MG ed i suoi genitori, che l'applaudivano energeticamente, Lizzie, che sembrava aver iniziato una strana e civile conversazione con Hope, e Penelope... che continuava a guardarla come se in quella stanza non ci fosse nient'altro che lei.
    Fu la stessa identica ragazza ad aspettarla una volta finito: Josie non ebbe neanche il tempo di tornare dietro le quinte, porgendo il microfono alla prossima aspirante, che la mora si fiondò su di lei, baciandola e stringendola a sé in un abbraccio dolce e sentito da entrambe. Chiuse gli occhi ed allargò leggermente la bocca in un sorriso appena accennato nel momento in cui riprese fiato.

    Fu anche quel bacio e le sensazioni che provò in quell'istante - però - a farle capire che quello non fosse nient'altro che un sogno, bellissimo - di questo ne era certa, ma pur sempre un sogno... qualcosa che non sarebbe capitato, che era assurdo continuare.
    Per questo tornò indietro, riaprì gli occhi e si morse il labbro inferiore, l'espressione triste che s'appropriò del suo volto. Era così persa... così maledettamente persa nell'ingiustizia della propria vita, che le parole del Professor Moro le arrivarono quasi come fossero un sussurro... frasi che pensava viaggiassero al suo interno.
    Eppure la fecero ridere e fu quella risata a portarla definitivamente alla realtà, uscita nel momento esatto in cui sentì un "daje" lasciar la bocca dell'uomo.
    Jojo, com'era solito chiamarla lui affettuosamente, alzò il capo e si morse il labbro, ridacchiando per cercar di cancellare quello strano stato d'imbarazzo. La vicinanza del suo viso, poi, non l'aiutò affatto: nonostante i due non provassero nient'altro che un dolce bene... quasi fraterno, Jo non poteva di certo dire che non lo trovasse affascinante: il professor Moro era bello... e sapeva di esserlo. Scosse leggermente il capo e poi si portò le mani sul volto, la schiena che s'alzò ed andò ad appoggiarsi sulla sedia che aveva da tempo occupato. - Mi scusi, prof. Mi sono appisolata. rispose chiudendo leggermente gli occhi, per poi riaprirli ridacchiando appena. Sfogliò il quaderno fino a trovare la canzone di Lizzie ed annuì dopo nemmeno qualche secondo. - Ok, sono pronta per cantarle il coro! non terminò neanche quell'affermazione, che un pensiero le balenò nella mente. Quella non era la loro ora di lezione, perché era lì, pronto ad aiutarla? - E' sicuro che è libero? Non abbiamo lezione ed io posso andare da un'altra parte se le serve l'aula! aggiunse immediatamente, sentendosi una stupida maleducata nell'aver pensato diversamente... e nell'ostinarsi a dargli del lei nonostante lui le avesse più volte intimato di chiamarlo per nome quand'erano soli.

    josette "josie" saltzman [ sheet ]
    eretica - membro del consiglio d'onore - 15/03/2014 - 16 annni
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    Finalmente la piccola Josie si svegliò, guardandosi attorno confusamente, mentre si mordeva un labbro. Era assolutamente adorabile, ma quando inizio a parlare, sbuffai, scuotendo la testa, assai contrariato. Prima di tutto, mi stava dando ancora del lei, cosa che non potevo assolutamente accettare. Mi ero assai raccomandato, con la piccola streghetta, affinché mi desse del tu, quando eravamo da soli. Poi, prese a sminuirsi come sempre, dichiarandosi pronta a cantare i cori del pezzo scelto da quella montata della sua gemella bionda, scusandosi persino perché mi stava occupando l'aula e dicendo che, se volevo, sarebbe potuta andare altrove.
    Le presi delicatamente il viso tra le mani, notando come riuscivo a racchiuderlo perfettamente, e poggiai la fronte sulla sua, sorridendole dolcemente.
    Frena, piccolé. Respira. Lo fai per me?
    La guardai negli occhi, o almeno l'intenzione iniziale era quella, ma poi i miei occhi scivolarono sulle sue labbra piene, rosse ed invitanti come due ciliegie mature, quindi mi scostai da lei, lasciandole una tenera carezza sulla guancia, allontanandomi da lei, per evitare di fare qualcosa della quale mi sarei potuto pentire.
    Iniziai a camminare avanti e indietro per l'aula, cercando di sfogare la frustrazione di non poter fare ciò che desideravo, per uno stupido senso di colpa verso Alaric.
    Jojo, cosa t'avevo detto? Fabrizio. Solo Fabrizio, ok? Almeno quando siamo soli, ti prego. iniziai in tono contrariato E no, non devi andare da nessuna parte, ok? Sono qui per aiutarti. Sono qui per te. Voglio aiutarti ma, per prima cosa, lascia perdere quella... cosa. Non la canteremo. Non quest'anno. Né mai più. Faremo qualcosa di diverso, piccolé. Qualcosa di nuovo, mi segui? E non canterai i cori. Non più. Non finché me ne occuperò io, ci siamo capiti bene? mi fermai e le andai incontro ad ampie falcate, abbassandomi sulle ginocchia per essere alla sua altezza. Le poggiai piano le mani sulle gambe, stringendo leggermente la presa, avendo però cura di non farle del male.
    Tu hai talento. Capisci? Sei troppo fantastica, per limitarti a fare i cori, nascosta nell'ultima fila, mentre tua sorella si prende tutto il merito... no, non va bene. Per niente. Le cose devono cambiare, piccolé. Le cambierò io...
    Mi rialzai, dopo averle stretto leggermente un ginocchio, e iniziai a rovistare tra le carte che avevo sulla scrivania, illuminandomi quando ebbi trovato ciò che cercavo. Presi alcuni fogli pinzati tra loro e li porsi a Josie con un sorriso.
    Conosci alcuni di questi pezzi, Jojo? Qualcuno ti piace particolarmente?
    Erano tutte canzoni abbastanza famose, di artisti altrettanto famosi. C'era Firework di Katy Perry, Beutiful di Christina Aguileira. E poi A thousand years di Christina Perri, California dreamin' di Sia, e due pezzi in italiano, ovvero Se bruciasse la città di Massimo Ranieri e un pezzo che avevo scritto personalmente, Ho bisogno di credere. Dubitavo fortemente che la piccola streghetta lo avrebbe scelto, ma glielo avrei comunque fatto imparare, perché quella canzone sembrava cucita addosso a lei... e d'altra parte, era a lei che avevo pensato, quella notte che l'avevo scritta, dopo l'ennesima notte di sesso passata con una sconosciuta, della quale non ricordavo né il nome né il viso, né ancora meno il corpo, che avevo posseduto ma non amato, che mi era scivolato distrattamente addosso, senza darmi quello che realmente volevo e bramavo così disperatamente. La pace. Pace che trovavo solo quando ero accanto a quella piccola creatura delicata e piena di luce, talento e amore, che troppo era stata in ombra per colpa di una sorella esibizionista e affamata di attenzioni a tal punto da sfiorare il patologico, lasciando lei, Josie, infreddolita e dimenticata in un angolo buio, come qualcosa di inutile, che andava a cercare solo quando le faceva comodo.
    Incrociai le braccia al petto, in attesa, spostando il peso da un piede all'altro, cercando di guardarla in viso e basta, evitando con tutte le mie forze di lasciar scorrere gli occhi lungo quel corpicino ancora acerbo ma - che io fossi dannato! - così maledettamente invitante.
    Non sapevo se Josie avesse già avuto esperienze in quel senso, ma non mi sembrava comunque una poco di buono. E se non ne avesse avute, non veramente, e si fosse limitata a dei semplici baci, a carezze più o meno spinte, con che cuore, con quale diritto io, Fabrizio Moro, un uomo di ben quarantatré anni - quasi quarantaquattro in realtà - potevo prendere la sua purezza?
    Non ne hai alcun diritto. Non puoi. Andiamo... è poco più che una bambina... non devi...
    Certo, e allora perché, alla sola idea di quello che sarebbe potuto accadere tra noi, al pensiero di baciare quelle labbra morbide e vellutate, di fare mio quel piccolo corpicino innocente, mi ero irrigidito tutto - oh, sì, proprio così! - e sentivo il cuore martellare furiosamente nel petto, le gambe cedere e la gola farsi improvvisamente secca? Che cosa mi stava prendendo? Dio, avevo cercato in ogni modo di respingere quelle sensazioni, quel languore che mi prendeva alla bocca dello stomaco, nell'immaginare Josie nuda e...
    Sei fottuto, vecchio mio. Mortacci sua, ma perché diavolo è così attraente?
    Ho Fede in te e ho Fede nel dolore. Nelle tue risposte acerbe che trasmettono stupore
    Fabrizio Raffaele Ettore Moro [ sheet ]
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    Edited by ´pïllöwtälk. - 7/5/2019, 00:56
     
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    Jojo puntò lo sguardo sul quaderno aperto sopra al proprio banco, leggendo qualche appunto che aveva lasciato qua e là durante le vecchie ore di lezione. Era certa di ricordarsi ogni cosa, ma rileggere un'ultima volta non sarebbe stata una brutta idea, anzi... avrebbe cibato la sua sicurezza, spingendola a rivelarsi immediatamente.
    Tuttavia uno sbuffo abbastanza incontrollato la distolse dal suo accurato lavoro, preoccupandola all'istante, non facendo altro che chiedersi dove diavolo avesse sbagliato. Alzò il capo e puntò gli occhi marroni sulla figura di Fabrizio, che in quell'esatto momento ritrovò davanti a sé. Quasi non saltò non appena lui le prese delicatamente il viso tra le mani: non era abituata a quei gesti... a quelle attenzioni... non che le fossero estranee eh - questo no, anche Penelope era solita farlo - ma era raro che un professore, ancor più rappresentato da un bell'uomo come lui, si lasciasse andare in comportamenti così ... aperti.
    Jojo aveva sempre apprezzato questa cosa, quel suo evitare di nascondersi davanti a tutti, quel suo rispettare i sentimenti e le sensazioni che provava... quel suo fregarsene delle regole... nonostante lei fosse una sua alunna e fosse proibito.
    Sapeva comunque che non si sarebbe mai spinto oltre, perché non provava nessun trasporto nei suoi confronti, perché era pur sempre un uomo ed avrebbe voluto una donna accanto a sé, decisa e meno incasinata di lei, che sapeva come prenderlo e che non avesse paura di toccarlo... però, in occasioni come quelle, Jo non poteva fare a meno di viaggiare con la fantasia... soprattutto in un momento come quello attuale: in cui gli occhi di Fabrizio sembravano si fossero spostati sulle sue labbra.
    Chiuse leggermente i propri e tirò un piccolo sospiro, cercando di regolare il cuore, non tentando di "obbedire" a Fabrizio, bensì provando ad allontanare quel pensiero così strano e sconsiderato provato qualche secondo fa.
    Quando riaprì gli occhi, Fabrizio era ormai lontano, con la sua andatura frustata. Stava per alzarsi, chiedendogli cosa diavolo fosse scattato in lui, ma le sue successive parole la fermarono. Abbassò il volto ed accennò un sorriso.
    - Va bene... Fabrizio. sussurrò chiamandolo finalmente per nome, il tono inglese che quasi lo rovinò adorabilmente, per poi terminare d'ascoltare quel suo sfogo personale.
    Quando lui le rivelò che per quell'anno non aveva nessuna intenzione di preparare il brano di sua sorella, Josie inarcò un sopracciglio ed istintivamente portò indietro la sedia, intenzionata ad alzarsi e a spiegargli che sarebbe stato un errore, che Lizzie sarebbe impazzita e che probabilmente le streghe avrebbero fatto lo stesso, certe che mai e poi mai avrebbero vinto con una tabella di marcia diversa. Ancora una volta, però, il comportamento di Fabrizio la bloccò su quella maledettissima sedia, questa volta facendola tremare leggermente, mentre lui le stringeva piano entrambe le gambe con le proprie mani.
    Cosa diavolo sta succedendo, smettila, è il tuo professore! pensò cercando di evitare di guardarlo negli occhi, appoggiando lo sguardo sul quaderno posto poco distante da loro.

    Tu hai talento. Capisci? Sei troppo fantastica, per limitarti a fare i cori, nascosta nell'ultima fila, mentre tua sorella si prende tutto il merito... no, non va bene. Per niente. Le cose devono cambiare, piccolé. Le cambierò io... Quando il professore indietreggiò, Jojo si sentì mancare l'aria... era come se la sua vicinanza l'aiutasse a star bene, la confortasse e la portasse "altrove". Chiuse gli occhi e scosse leggermente il capo.
    Tutto ciò era assurdo, era riuscita a trattenere ogni piccolo pensiero su di lui ed adesso cosa diavolo stava succedendo? Perché sentiva che prima o poi sarebbe crollata?
    Strinse entrambe le mani in due pugni e si morse il labbro inferiore. - Tu non capisci, Fabrizio... se cambiamo anche solo una nota Lizzie impazzisce, pensa se cambiassimo leader e canzone... andrebbe fuori di testa... totalmente. sussurrò infine, accettando comunque il fascicolo che le porse l'uomo, appoggiandoselo sulle proprie gambe per visionarlo per bene.
    Abbassò il capo, l'attenzione fissa sui fogli, i capelli che le cadevano e circondavano il suo splendido viso, le labbra che venivano torturate dai suoi denti... Jojo sembrava quasi un quadro.
    Conosceva quasi tutte le proposte del professore, soltanto due le erano estranee e tra quelle soltanto due riuscirono a colpirla: Beautiful della Aguilera ed una intitolata Ho Bisogno di Credere, italiana e - diversamente da tutte le altre - scritta in corsivo e di pugno... probabilmente da Fabrizio stesso. - Me la canti? domandò accennando un sorriso, porgendogli il foglio, appoggiando - invece - l'intero malloppo sul proprio banco. - E' la tua scrittura, vero? L'hai scritta tu? Di che parla? chiese velocemente... forse era finita lì per sbaglio, forse non era per lei... ma era troppo curiosa di sentirla.

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    Ancora una volta, Josie si preoccupò per la sorella gemella, senza pensare a sé stessa. Scossi la testa, contrariato. Sarei voluto andare lì, prenderla per le spalle e scuoterla leggermente, dicendole che la pazza era lei, e che Lizzie doveva solo tacere e andare a rompere le scatole altrove. Tuttavia non lo feci, rimasi in silenzio, studiando ognuna delle sue reazioni, ogni suo più piccolo, impercettibile movimento.
    I capelli scuri che le ricadevano sul viso, le labbra morbide e rosse, adesso torturate dai suoi piccoli denti, canidi come perle.
    Te 'a morderei io 'a bocca a te, sa'? pensai, incapace di trattenermi dal fare quei pensieri tutt'altro che casti e decisamente poco consoni al mio ruolo e al luogo in cui ci trovavamo.
    Intanto Josie, stava studiando con attenzione i fogli che le avevo dato, tenendoli sulle sue ginocchia. La vidi mettere di lato il pezzo della Aguilera e - con mia grande gioia - il mio.
    Me la canti? mormorò, con quella sua voce e dolce, da bimba, che non potei fare a meno di immaginare in un'altra situazione, in quella situazione, ancora più sottile, resa acuta dal piacere che avrei potuto darle, accarezzandola piano, delicatamente, proprio dove era più sensibile.
    Basta, finiscila! Fa' la persona seria, che sei pure capace, se vuoi! mi rimproverai mentalmente, mentre annuivo in risposta alle sue parole, cercando di scacciare quel languore, ma senza riuscirci veramente.
    Non potei evitare in alcun modo di andarle nuovamente vicino, abbassandomi ancora, portando di nuovo le mani sulle sue ginocchia, spostando i fogli e stringendo appena.

    Ho fede nei silenzi, colti a un passo dal coraggio... iniziai a voce bassa, senza preoccuparmi di andare a prendere la chitarra.

    La fede è l'impressione di averti sempre accanto, quando ho camminato tanto... continuai, sfiorandole la punta del naso con l'indice, in un gesto tenero e scherzoso.

    Ho bisogno di credere... ho bisogno di te... la fissai negli occhi per un momento, mentre la voce mi moriva in gola, ormai incapace di trattenermi ulteriormente.

    Ho bisogno di te... esalai, senza cantare, ma solo parlando ... I need you... ripetei, questa volta in inglese, sollevandomi leggermente e poggiando le mie labbra sulle sue, senza pressare, senza forzarle con la lingua, senza fare nulla.

    Rimasi così, immobile e un po' perso, le mani ancora leggermente poggiate sulle sue ginocchia, e le labbra che sfioravano dolcemente quelle di Josie - che sì, erano morbide come avevo immaginato, e sapevano veramente di ciliegia - pregando con tutta l'anima che ricambiasse il mio bacio, anche solo un pochino...
    Ho Fede in te e ho Fede nel dolore. Nelle tue risposte acerbe che trasmettono stupore
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    Chiunque avrebbe scelto d'entrare in quella stanza non sarebbe riuscito a trattenere le risate alla vista di quell'ironica immagine: Jojo osservava le espressioni di Fabrizio, e Fabrizio - d'altra parte -, faceva lo stesso con quelle della giovane.
    Sembravano una coppia impegnata a studiarsi... calibrare per bene ogni respiro, stato d'animo o cambiamento del volto. Eran buffi ma anche molto veri; dopotutto era quella la bellezza delle nuove relazioni.. quelle fresche e prive d'alcun nascondiglio... quelle chiare proprio perché chiare eran le intenzioni di entrambe le parti coinvolte.
    Eppure, contrariamente dal tipo di relazione appena presa in considerazione, quella che stava instaurandosi tra i due sembrava esser al di là dall'esser chiara o trasparente... almeno per Jojo, incapace di riuscire a comprendere perché mai provasse determinate sensazioni per una persona come lui.
    Succedeva ogni qualvolta aveva la possibilità di star sola con Fabrizio: la preoccupazione veniva surclassata da una strana morsa all'altezza del petto... una dolce e per niente stancante - o imbarazzante - emozione.
    Nonostante tutto, però, quel filo di disagio era sempre dietro l'angolo, quasi a ricordarle chi era lei e chi - invece - rappresentava lui: un uomo che mai avrebbe potuto e voluto mischiarsi con la plebaia.
    Eppure le aveva dato tanti di quei segnali, da farla quasi impazzire.
    La guardava come se fosse l'unica: persino a lezione sembrava esser sempre nei suoi pensieri e Jo non poteva fare a meno di domandarsi perché anche per lei fosse lo stesso. Fabrizio le era venuto in mente persino nei momenti in cui sostava con Penelope... sembrava fosse un chiodo fisso, per questo - negli ultimi mesi - aveva cercato di mettere un po' di distanza tra loro, perché la loro vicinanza era la cosa più strana ed eccitante che avesse mai provato, perché sembrava sentir qualcosa di molto più forte di una semplice stima o gratitudine... e perché - se soltanto avesse scelto di lasciarsi andare - il suo cuore ne avrebbe prima o poi sofferto le pene dell'inferno.
    Ma davvero faceva ancora in tempo ad allontanarsi? Perché ora come ora, dentro quell'immensa sala che a lei iniziava a sembrare sempre più piccola, Fabrizio le era entrato dentro: e per farlo erano bastate delle semplici parole, dei semplici gesti, surclassati da un bacio senza ritorno, che segnava - realmente - una svolta al loro rapporto.

    Chissà se sarebbe stato positivo o meno...

    ...I need you... Jo ebbe soltanto il tempo di deglutire, che successivamente il professore s'appropriò del suo corpo e della sua anima. Le loro labbra si toccarono ed il cuore della ragazza non poté fare a meno di perdere un battito.
    Tutto sembrava rallentarsi, e probabilmente era davvero così: Fabrizio aveva appena appoggiato le labbra su quelle di Jojo... quest'ultime erano ancora incollate su quelle del professore e sembrava non volessero tirarsi indietro.
    La piccola dei Saltzman chiuse gli occhi ed appoggiò una mano su quella di Fabrizio, mentre l'altra andò automaticamente ad accarezzarne la guancia destra.
    E' sbagliato. E' davvero sbagliato. pensò, senza avere la forza di tirarsi indietro, ormai infatuata delle sue labbra dolci e ruvide allo stesso tempo.
    E' sbagliato. continuava a sostenere la sua mente, mentre s'avvicinava di più al corpo dell'uomo, pronunciando indirettamente il bisogno di sentirlo più vicino. - Aspetta... che stiamo facendo? chiese estremamente confusa ed inebriata dal momento, mentre faceva incontrare ancora un'altra volta le loro labbra, rigirandosi la domanda nella propria testa.
    Un'ultima ripetizione le arrivò dritta dritta alle orecchie, surclassando ogni emozione inebriante, facendola ricollegare alla realtà. Stava baciando Fabrizio... stava baciando un uomo... stava baciando un professore.
    Cazzo. La ragazza tirò velocemente il capo indietro e guardò il soggetto posto davanti a sé. - No. Fabrizio... abbassò lo sguardo e i suoi occhi intravidero entrambe le mani tatuate - accompagnate dalla propria - sulle ginocchia. Staccò la propria, indietreggiò con la sedia, si alzò e si voltò in modo da dargli le spalle.
    Che stupida... hai anche paura a guardarlo negli occhi. pensò chiudendoli piano, cercando di regolarizzare il respiro.

    Ed ora?

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    Inizialmente, le cose sembrarono andare bene. Più che bene. Josie rispose al bacio, abbandonandosi ad esso, cercando maggiore contatto. Mi strinse una mano, avvicinandosi maggiormente a me, come a chiedere di più.
    Avrei potuto approfittarmene, metterle le mani addosso, toccarla, far scivolare le mie mani sul suo corpo, o la lingua tra le sue labbra, leggermente schiuse. Così morbide... Invece no. Non feci nulla di tutto ciò. Mi limitai a darle piccoli baci, dolci, delicati, a labbra leggermente schiuse, ma non certo alla francese, ecco. No, niente lingua. Non ancora, almeno.
    Quando portò l'altra mano sulla mia guancia e mi lasciò una leggera carezza, sospirai leggermente, emettendo un lieve mugolio contro la sua bocca. La baciai allora in modo più deciso, più urgente, ma sempre a labbra chiuse.
    Josie, però, si ritrasse bruscamente, tirandosi indietro, chiedendosi confusamente cosa stessimo facendo, mentre si alzava e mi dava le spalle.
    No, Fabrizio... mormorò, sembrava spaventata.
    Piccolé, ehi... la chiamai, a voce bassa e tenera, avvicinandomi piano a lei, che ancora mi dava le spalle, avvolgendo il suo corpicino tremante e stringendolo contro al mio, tirandomela contro fino a far aderire la sua schiena al mio petto ... nun avé paura... mi uscì, direttamente in romanaccio. Ridacchiai, sapendo che non poteva capirmi Scusa... volevo dire, che non devi avere paura... mai... né di me, né di... questo... io... io tengo molto a te, Jojo... sospirai, lasciandole un lieve e dolce bacio sul collo, per poi affondare il viso tra i suoi morbidi capelli profumati ... è così, piccolé... è così... credimi... io ho bisogno di te... ho tanto bisogno di te... con te... solo con te... io sento... sono felice... conclusi, la voce che mi tremava leggermente, mentre le accarezzavo piano lo stomaco e me la stringevo contro un po' di più.
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    Quelle parole continuavano a rimbalzare nella mente della giovane; chiare e precise sembrava avessero il compito di farle capire che adesso aveva qualcuno a cui lei importava, qualcuno che la desiderava esattamente come aveva sempre sognato... qualcuno che necessitava delle sue attenzioni come si ha bisogno d'aria o di un cuore pulsante per poter andare avanti.
    Quella frase aveva un peso ben definito e fu anche per questo che Jojo non poté fare a meno di rabbrividire, perché non poteva credere che un uomo come lui avrebbe mai potuto provare qualcosa di così grande che lo portasse a pronunciarla. Certo, non era stata la prima volta che se lo sentiva dire - non per tirarsela ma aveva avuto molte soddisfazioni nella sua vita, l'ultima proprio con Penelope (prima di lasciar terminare il tutto in un bel adios!) -, ma era conscia che alcune di loro andassero al di là della pura e cruda verità.
    Conosceva Fabrizio: lui era una di quelle persone che s'impara a conoscere sin da subito, non solo perché privo di limiti ma anche perché esente di barriere, diceva sempre quel che pensava e si mostrava sempre per quello che era in realtà. Era un uomo sincero, persino quando sapeva che le proprie parole avrebbero potuto ferire il prossimo... lui le pronunciava senza remore alcuna, certo che la cruda verità sarebbe stata molto meglio di un'oscura bugia. Non mentiva mai e se era arrivato a dirle quelle cose doveva esser perché le sentiva davvero... doveva esser perché aveva realmente bisogno di lei.

    La domanda che Jo avrebbe dovuto porsi adesso era soltanto una: e lei? Lei aveva bisogno di lui? Della sua vicinanza? Del suo appoggio? Della sua voce? Dei suoi baci così dolci e del suo corpo così possente?
    Aveva davvero bisogno di un suo sorriso per esser felice? O ce l'avrebbe fatta anche da sola?
    Sapeva perfettamente qual'era la risposta a tutte quelle domande, ricordava perfettamente quante volte aveva chiesto un suo aiuto, quante volte - guardando la sua figura - era tornata a respirare, quante volte - ascoltando la sua voce - aveva sentito il suo cuore farsi sempre più leggero.
    Ancora adesso aveva bisogno di lui, della sua bocca e delle sue braccia.
    Piccolé, ehi... a sentire quelle piccole frasi, Jojo non poté fare a meno di chiudere forte gli occhi, mordendosi il labbro inferiore. Amava quando la chiamava in quel modo, era come se sapesse che avrebbe potuto fare di tutto, tanto lui le sarebbe rimasto accanto come una principessa ed il suo guerriero. Tremò nel sentire le sue mani avvolgerla e respirò a fondo non appena percepì entrambi i corpi che si toccavano, combaciando come se fossero l'uno la metà dell'altro. Tirò il capo indietro sospirando a fondo e scosse leggermente il capo.
    Lei lo desiderava, lo voleva: di questo ne era sicura, il problema era il ruolo che entrambi occupavano in quella scuola, l'età e suo padre, che li avrebbe uccisi se soltanto avesse scoperto del loro "avvicinamento".
    - Non... non continuare Fab... sussurrò con la voce che le morì in gola nello stesso istante in cui lui le baciò dolcemente il collo. affondando successivamente il viso tra i suoi capelli.
    - Mio padre, lui... lui non approverà ed io... io non sono interessata. sussurrò infine nello stesso momento in cui lui le disse che soltanto con lei riusciva ad esser felice. Una bugia, quella della ragazza, che tutti avrebbero potuto smascherare con facilità... bastava guardarla negli occhi o ascoltare il tono della sua voce mentre lo pronunciava.
    Sospirò a fondo e piano appoggiò una mano su quella del ragazzo, occupata ad accarezzarle lo stomaco. Si divincolò appena, giusto il tempo per riuscire a voltarsi. - Come pensi potrebbe mai funzionare, eh? Sarò costretta a viverti in segreto? A recitare ogni qualvolta ti avrò affianco in un gruppo o in classe con la speranza di poter rimanere ben presto da sola con te? Credi riuscirò a tenere il mio autocontrollo quando vedrò qualcuno avvicinarsi più del dovuto? abbassò il viso e sospirò. - E' già successo e non voglio sentirmi più così.. continuò scuotendo il capo.
    Strinse le mani in un pugno e poi annuì piano, sporgendosi a lato per poter prendere i fogli che le aveva precedentemente portato. - Forse è meglio se la finiamo qui. sussurrò col volto abbassato, mentre gli porgeva i testi delle canzoni ed aspettava che lui li prendesse, pronta per attraversare la stanza e chiudersi per sempre la porta alle proprie spalle.

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    Proprio come avevo immaginato, la piccola JoJo andò in paranoia, ma proprio tanto. Parlava di sua padre, del vivere in segreto la nostra relazione, del suo autocontrollo da gestire. Eppure, il suo corpo reagiva a me, al mio tocco, alle mie carezze, ai miei baci.
    Piccolé... iniziai, deciso a rassicurarla in ogni modo, ma lei non mi fece parlare. Non me ne diede la minima possibilità.
    Strinse i pugni, si allontanò, disse che dovevamo finirla lì, e fece per restituirmi i fogli. Li presi, scuotendo la testa, lanciandoli su un banco a caso, certo che probabilmente sarebbero finiti a terra. Non ero arrabbiato, però, per niente. Solo un po' ansioso. Preoccupato. Per lei, ovviamente.
    Bimba... dissi direttamente in italiano ... baby... tradussi poi ... anche se in realtà, sarebbe più corretto child, ma ok, va bene uguale... ascoltami solo un momento, poi sarai libera di fare quello che vuoi, ok? allungai una mano, facendole una carezza sulla guancia e lasciandole un piccolo e delicato pizzicotto sul mento Vieni qui, bambolina... mormorai a voce bassa, come se stessi parlando con una bambina ... qui... così... tranquilla, buona... la abbracciai, senza toccarla né altro, e la presi in braccio, sollevandola e sedendomi con lei sulle ginocchia ... non ti tocco più, ok? Ti fidi di me? Voglio solo parlare, nient'altro... le scostai una ciocca di capelli dal viso ... hai sedici anni, giusto? Quasi diciassette... bene, a breve ne avrai diciotto, non dovremo più nasconderci e sarai libera di fare ciò che vuoi, nemmeno tuo padre ti potrà fermare... cosa pensi, piccolé, che per me sia facile? Oh, no... io ammiro tuo padre, gli voglio bene... gli sono grato e lo stimo, non potrei mai prenderlo in giro, e anche per me sarebbe molto dura nascondergli qualcosa... ma d'altra parte, voglio bene pure a te, bimba... ed è un tipo di bene ovviamente diverso... io voglio renderti felice, capisci? Voglio farti sentire amata... e desiderata... e appagata... voglio darti tutto, piccolé... tutto me stesso... ogni cosa... pensaci... dovremo vivere nell'ombra per un po', è vero... ma io... io ti darei tutto il mio cuore, bambolina mia... saprei farti sentire speciale... guarda cosa è successo, per un bacetto piccolo piccolo... non lo capisci? Non possiamo proprio stare lontani, io e te... strofinai il naso contro al suo con tenerezza, poi le presi una mano, baciandole il polso ... vuoi pensarci un pochino? Ti prometto che, nel frattempo, terrò le mani apposto... ridacchiai ... ma solo perché sei tu, piccolé... non lo farei per un'altra, sappilo! stavo provando, in qualche modo a sdrammatizzare. Sperai di esserci riuscito, anche solo un poco.
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    Josie aspettò che Fabrizio afferrasse i fogli visionati precedentemente e poi superò la sua figura, cercando di ignorare la propria coscienza che per una buona volta sembrava esser assai contraria al volere della ragazza. S'affrettò ad aumentare il passo, così da raggiungere per prima la porta di quell'enorme stanza che in quel momento sembrava essersi rimpicciolita sempre più, tuttavia il percorso si bloccò nel momento esatto in cui la voce dell'uomo tornò a risuonare nell'aria. L'aveva chiamata - ancora un'altra volta -, ed ancora un'altra volta lei non era riuscita a sfuggirgli: con una sola flessione del braccio Fabrizio l'aveva avvicinata piano a sé, voltandola dolcemente, accarezzandole una guancia.
    Jojo chiuse immediatamente gli occhi, cercando di ignorare la sua voce, sperando che - per una buona volta - la sua volontà assecondasse i propri desideri, eppure ogni cosa sembrò inutile: Fabrizio era ancora nei suoi pensieri, i suoi gesti la stavano letteralmente facendo impazzire e tra pochi minuti avrebbe sicuramente perso il controllo.
    Sapeva perfettamente di esser nel giusto, ne era fermamente convinta: quella relazione non avrebbe fatto del male soltanto a loro, ma anche a tutti gli altri che gli giravano intorno. Non potevano esser egoisti, non potevano comportarsi così... eppure...

    ...eppure era innegabile il trasporto ed il feeling presente tra i due, Jo non sarebbe riuscita a far finta di niente, soprattutto se già ne dubitava il contrario. Evitare Fabrizio, poi, sarebbe stato più difficile del previsto, non solo perché era il suo professore ma anche perché - come aveva accennato anche lui precedentemente -, era un amico di suo padre e quando non si trovava in classe o a farsi i fatti suoi con qualche ragazzina, lui era con Alaric.
    Oh poi c'erano le ragazze che Jo aveva sentito amava portare nella propria stanza... non aveva nessuna intenzione di dividerlo con loro. Affatto.
    Si morse il labbro inferiore e scosse leggermente il capo: tanti, troppi motivi per cui avrebbero dovuto finirla... eppure nessuno di quelli sembrava convincerla ad accantonare la sua presenza.
    Abbassò il viso e pensierosa appoggiò gli occhi sulle gambe nude sovrapposte a quelle fasciate dai jeans dell'uomo. Perse un battito nel momento in cui s'accorse d'essergli seduta sopra e d'istinto non poté fare a meno di appoggiare entrambe le mani sulle proprie gambe con l'intenzione di coprile, mentre malediva mentalmente di aver scelto di indossare una semplice gonna quella mattina al posto di dei pantaloni.
    Scosse il capo per l'assurdo comportamento, nonché per il semplice fatto di sentirsi costantemente inferiore a lui e poi si concentrò sulle parole che aveva iniziato a rivolgerle. (...) io voglio renderti felice, capisci? Voglio farti sentire amata... e desiderata... e appagata... voglio darti tutto, piccolé... tutto me stesso... ogni cosa... pensaci... dovremo vivere nell'ombra per un po', è vero... ma io... io ti darei tutto il mio cuore, bambolina mia... saprei farti sentire speciale... voglio farti sentire amata... e desiderata... ancora col capo chino, Jo incominciò a riflettere su quanto aveva da sempre desiderato un amore ed una persona come Fabrizio: che avrebbe fatto di tutto per la propria amata e che l'avrebbe messa al primo posto, senza riserva. Pensò a quanto le relazioni passate l'avevan fatta piangere e a quanto lui riuscisse a capirla anche solo da un semplice sguardo. Pensò a come s'era sentita quando lui l'aveva baciata... a come le loro labbra sembravano appartenersi e a come lo perderebbe se soltanto non si decidesse a buttarsi... pensò a sé stessa per una buona volta.
    Non voleva perderlo e non voleva che qualcun'altra diversa da lei rappresentasse la sua felicità.

    I'm going to be leaving all those doubts behind
    I'm step, I'm stepping into the light.


    Lasciò che un respiro la coinvolse totalmente, riempiendole i polmoni e facendole riaprire gli occhi e la mente, quasi come a farsi forza... o ad aiutarla indirettamente a parlare. Cercò ed afferrò dolcemente la mano dell'uomo e la strinse tra la propria, mentre chiudendo per qualche secondo gli occhi fece incontrare le loro fronti. - Anch'io ho bisogno di te. disse semplicemente in italiano, come a richiamare l'attimo del loro primo bacio, la voce da ragazzina e l'accento da perfetta newyorkese. Ridacchiò appena ed appoggiò le labbra su quelle del professore, trovandole subito morbide e perfettamente invitanti. Cercò di metter da parte la sua poca autostima e la paura di non esser abbastanza e - fregandosene -, portò entrambe le mani al collo dell'uomo, una che lo accarezzava e l'altra che faceva lo stesso coi capelli.

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    La piccola Jojo stava riflettendo, stava pensando. Forse, stava considerando la cosa. Rimasi in silenzio, per non interrompere il corso dei suoi pensieri, infilandomi persino le mani in tasca, cosicché potesse vedere da sé che non stavo scherzando quando le avevo detto che non l'avrei più toccata se lei non avesse voluto.
    Probabilmente, stavo facendo una pazzia, la stavamo facendo entrambi, ma come negare i sentimenti che c'erano tra noi? Per me era ormai diventato impossibile farlo. Josie Saltzman era per me un pensiero fisso, quasi un'ossessione. Non facevo altro che pensare a lei, di continuo, e non necessariamente in un contesto prettamente fisico, anzi proprio l'opposto. Immaginavo anche quello, certamente - sarei stato un ipocrita a negarlo - ma non mi limitavo a fare pensieri poco casti su di lei, niente affatto. Sognavo di portarla a cena fuori, tenerle la mano per le vie di Mystic Falls, comprarle un gelato e portarla al cinema. Ero realmente interessato a lei, alla sua persona, a cosa potesse piacerle e a cosa, invece, potesse detestare. M'interessava di ogni cosa che la riguardasse, anche della più piccola ed insignificante.
    Ero innamorato di lei, realizzai un po' sgomento, ma nient'affatto propenso a rinunciare a provare ad averla per me. E quando, poco dopo, col suo perfetto accento inglese, replicò in un italiano un po' stentato che anche lei aveva bisogno di me, il mio cuore fece una capriola per la gioia.
    Poco dopo, Josie poggiò le labbra sulle mie, cercando un altro bacio. Un bacio che normalmente avrei ricambiato, ma che in quel momento non mi sentivo totalmente libero di poter fare, perché prima c'era una cosa della quale dovevo metterla al corrente. Volevo essere totalmente e completamente onesto, anche a costo di ferirla forse, ma era giusto che sapesse la verità da me e non da altri, così che avesse la certezza e la consapevolezza che quello non era minimamente un gioco per me.
    Per questo motivo, risposi parzialmente al bacio, senza approfondirlo come avevo fatto in precedenza. Le lasciai qualche bacio a fior di labbra, per poi stringermela al petto. Il mio cuore, al centro di esso, stava scoppiando, tanto batteva forte. Per l'amore, la paura, l'eccitazione.Tutto.
    La scostai da me con delicatezza e le rivolsi un tenero sorriso, sistemandole dietro all'orecchio una ciocca di capelli che le era finita davanti agli occhi.
    Piccolé, nessuno è più felice di me in questo momento. Credimi, hai fatto di me l'uomo più felice sulla faccia di questa terra, e mai, mai, mai, per nessun motivo, vorrei rovinare questo meraviglioso istante... ma c'è una cosa che devi sapere, bimba mia. E' giusto che io te lo dica, non voglio nasconderti nulla. La scorsa estate, quando tuo padre mi ha assunto per lavorare qui, quando sono arrivato, lui non era qui. Non c'eravate nemmeno tu o tua sorella. Vostro padre vi aveva portate fuori per qualche giorno, prima dell'inizio delle lezioni. Ebbene, qui ho trovato solo Caroline, tua madre. Abbiamo legato subito... ingoiai un groppo di saliva che mi si era formato in gola e presi un respiro profondo ... c'è stato qualcosa, tra me e lei, qualcosa che entrambi abbiamo voluto, forse perché quelle sere eravamo un po' ubriachi, forse perché entrambi avevamo disperatamente bisogno di scivolare tra le braccia di qualcuno, senza pensare. Lei era a pezzi per la perdita di Stefan, io in fuga dall'Italia, accusato della morte dell'unico uomo che mi avesse fatto da padre, per mano di una vampira psicopatica di nome Marlena che aveva vampirizzato il figlio di quell'uomo, costringendolo ad uccidere il suo stesso padre, in mia presenza... e sono scappato, perché loro sono scomparsi ed io ero l'unico che poteva essere accusato di quanto era accaduto... è stato... è stato terribile, ho gli incubi ancora oggi, te lo giuro. So che questa non è una giustificazione, ma Caroline era lì, gli occhi più disperati dei miei, e io nemmeno ti conoscevo... ci siamo solo aiutati a vicenda, per un paio di notti, chiudendo la cosa come due adulti e decidendo di mantenere rapporti professionali. Voglio bene a tua madre, la stimo, ma non ho mai provato nulla di romantico per lei. A dire il vero, non credo d'aver mai provato nulla di romantico, né lontanamente paragonabile a ciò che da mesi sento per te, e che tento di combattere in ogni modo... ti prego, adesso dimmi che non mi odi... dimmi che c'è ancora speranza per noi, piccolé... perché io, proprio non ce la faccio più a starti lontano...
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    Probabilmente quella sarebbe stata la decisione più ingiusta ed indelicata della sua vita, una di quelle che solitamente eran pronte a prendere persone totalmente diverse da lei. Eppure per una volta la piccola Jo voleva esser egoista, pensare a sé stessa... star bene e vivere la propria vita riappropriandosi del ruolo che le spettava... quello da protagonista, e non più da semplice comparsa.
    Ma c'era anche di più: adesso che guardava Fabrizio negli occhi la consapevolezza di non voler perdere quello che - probabilmente - sarebbe stato l'amore più grande della sua vita, l'aveva inondata come un fiume in piena.
    Certo, sicuramente non poteva sapere se il professore sarebbe stato quello giusto - era ancora una ragazzina, dopotutto, doveva ancora imparare a distinguere tutto ciò che la vita le metteva davanti -, ma certamente era la persona che più in quel momento aveva dimostrato di volerle bene, di tenere a lei, di amarla e di volerla proteggere.
    Jo? Cosa provava Jo nei suoi confronti? Jo si sentiva terribilmente... sconnessa, quasi ubriaca dalla sua presenza.
    Da quando l'aveva conosciuto ogni cosa era scomparsa, ogni maledettissimo pensiero, ricordo o soggetto aveva perso d'importanza. Fabrizio era stato capace di cancellare ed annullare qualsiasi cosa avesse affrontato o le fosse venuto in mente prima del loro incontro. Per lei c'era soltanto lui e se per un momento aveva pensato che la sua non doveva esser nient'altro che una semplice cotta passeggera (dopotutto quale studentessa non s'era mai infatuata di un professore?) ora che l'aveva baciato e stretto a sé aveva compreso che era ben più di così.
    Dopotutto era stato impossibile accettare la lontananza che tanto sembrava desiderare precedentemente: aveva quasi raggiunto la porta eppure in cuor suo sapeva perfettamente che non sarebbe riuscita ad abbandonare quella stanza... non se c'era ancora lui lì dentro, non se la guardava e pregava in quel modo, non se la voglia di baciarlo ed esser sua batteva ancora ben puntuale dentro il suo corpo.
    Esser sua... in quel momento proprio non riuscì a non immaginarsi loro due sotto le lenzuola. I loro corpi che s'avvolgevano ed univano, le braccia nude di lui che la tiravano ed avvicinavano a sé, le labbra che assaggiavano ogni piccolo lembo di pelle accessibile.
    La ragazza arrossì e si ritrovò ad abbassare naturalmente il capo, incapace di sostenere lo sguardo dell'uomo. A cosa diavolo stava pensando? Cosa diavolo stava facendo?
    Stupida, stupida... sei una stupida. pensò nello stesso istante in cui lui incominciò a parlare.

    Concentrarsi non fu per niente difficile... sopratutto a causa ciò che le stava rivelando.

    "La scorsa estate..."
    "...Caroline..."
    "...abbiamo legato subito..."
    "...c'è stato qualcosa... quelle sere..."
    "...scivolare tra le braccia di qualcuno..."


    Non riuscì a non ascoltare nient'altro... nessuna motivazione, nessuna giustificazione. Quelle frasi continuavano a susseguirsi nella sua testa ogni volta sempre più velocemente della prima, con un tono sempre più forte ed acuto.
    Sì, sì lui s'era ben premunito dal confessare che a quel tempo ancora non si conoscevano, che non aveva neppure visto suo padre, né tanto meno sua sorella. Ed era vero! Entrambi erano ancora degli sconosciuti e se soltanto Alaric non le avesse parlato di lui qualche giorno prima della solita gita prima dell'inizio dell'anno scolastico, lei neppure avrebbe saputo della sua esistenza, ma sua madre...! Fabrizio era andato a letto con sua madre e lei... lei era confusa.
    - Quante volte? Quante... quante volte siete stati insieme? domandò col nodo in gola, alzandosi velocemente dalle sue gambe ed allontanandosi da lui. - E perché ti sei avvicinato a me? Perché non hai pensato di allontanarti o mettere delle distanze? Perché mi hai permesso di attaccarmi a te? una lacrima solcò il suo viso, costringendo Jojo ad interrompersi e prendersi il tempo per scacciarla via, in un moto di rabbia e repulsione. Non voleva che lui la vedesse piangere.
    - Non hai pensato che io non avrei potuto accettare la cosa? Che starei stata male al solo pensiero? afferrò il suo zaino e si fermò a guardarlo un'altra volta - Mia madre. ripeté - Io amo mia madre e... e amo... strinse forte il labbro inferiore, no... no, non poteva amarlo, non poteva esser così.
    - Io... io non so cosa dirti. Non so... non so cosa fare... sospirò a fondo
    - Ho bisogno di tempo.

    josette "josie" saltzman [ sheet ]
    eretica - membro del consiglio d'onore - 15/03/2014 - 16 anni
    by psiche


    : '( Cussioli :/
     
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